Un racconto di Seme Nero
1.
La sala di osservazione è fredda, il liquido roseo gorgoglia dall’ugello e cade nell’apposito condotto, verso il centro della stanza, dove si raccoglie in un incavo. Lì il liquido sobbolle e i vapori sprigionati prendono forme preordinate dagli emettitori posti sul soffitto. Sedici globi di dimensioni apparentemente identiche, raffiguranti sedici diverse colonie.
Effeliah osserva turbata l’immagine per l’ennesima volta, il respiro affannato e i nervi a fior di pelle.
«Non farmi penare oltre. Dillo e basta.»
Dexit, immobile sulla porta, la guarda pietoso. «Li dobbiamo decimare.»
«Quanti?»
«Possiamo salvare Abran 88 se ci muoviamo in fretta.»
Effeliah si gira di scatto, fulminandolo con lo sguardo. «Sei impazzito, per caso? Stai suggerendo uno sterminio!»
Dexit inspira a fondo, e risponde stoico: «Ti sto mettendo di fronte alla soluzione più logica per salvare quanto possibile.»
«No, hai fatto un errore. Qualcosa ci sfugge, non abbiamo tentato abbastanza…»
«Il 92% delle simulazioni, Effeliah. E nel restante 8% si presentano comunque gravi malformazioni per i sopravvissuti, un’aspettativa di vita ridotta a pochi cicli, e una quasi certa mutazione del morbo in varianti letali.»
Effeliah torna a guardare i sedici globi. Un movimento della mano e l’immagine tridimensionale s’ingrandisce. Come in picchiata verso la superficie di En-Eslam 286, Effeliah osserva i continenti allargarsi, le città gonfiarsi, miriadi di gocce addensate esplodono in figure eteree, fino a raggiungere il limite tecnico dei riproduttori. Figure dai contorni sgranati si muovono e interagiscono tra loro. A milioni di kur di distanza, ignari di essere osservati, o del loro imminente destino.
«Sono come nostri figli.»
«Lo sono, Ef. Ma stanno morendo. Possiamo solo alleviare la loro sofferenza.»
La sovrintendente si volta furiosa, ed esce dalla stanza. «Ci sta sfuggendo qualcosa» dice, imboccando il corridoio.
Dexit sospira. Rimasto solo, si avvicina a un pannello dalla superficie granulosa. Col dito verga una serie di simboli, che vengono riassorbiti dopo pochi attimi. Una breve attesa e il suo più fidato sottoposto si presenta a rapporto.
«Dobbiamo accelerare i tempi, Horeg.»
2.
Una collezione di più di seicentomila cilindri, milioni e milioni di documenti, e nessuno riesce a trovare una cura al morbo che affligge le loro creazioni.
“Dexit sembra non cogliere il punto, parla di dati, di percentuali. La fa così semplice.”
Sono passate ore da quando si è rinchiusa negli archivi, selezionando tutta la letteratura sull’argomento utile a trovare una soluzione per lei accettabile, cioè ogni ricerca che abbia dato risultati anche solo parzialmente incoraggianti. Tutti vicoli ciechi, secondo Dexit.
«È permesso?» Lei non risponde. «Questo accanimento non ti porterà da nessuna parte.»
«E dove ci porteranno le tue statistiche? A essere i più grandi sterminatori dell’universo? Miliardi di individui sacrificati sull’altare della nostra sopravvivenza. Ecco il nostro lascito alle generazioni future!»
«Dannazione, sono loro la chiave per la nostra fertilità! Vuoi salvarli tutti? Bene! Assumiti anche la responsabilità per la morte di quelli che ancora non sono stati contagiati e la responsabilità per quelli di noi che non potranno nascere!»
«Tu non mi ascolti. Ti sto dicendo che dobbiamo continuare a provare. Possiamo isolarli, ibernarli perfino!»
Dexit ride. «Stai parlando di un consumo di risorse immane, per non parlare del tempo che impiegheremmo. Riusciremmo comunque a salvarne solo metà, prima della fine delle operazioni, e stiamo parlando di previsioni rosee!»
«Milioni di individui in più di quanti non sacrificheresti tu.»
«Ma a che prezzo?» urla Dexit, e si trattiene dal dire altro. Alza una mano per bloccare la replica. «Non andiamo da nessuna parte. È inutile che continuiamo a discutere.»
Si guardano in silenzio, come hanno già fatto troppe volte. Ma stavolta Effeliah è a corto di giustificazioni per rimandare la decisione. Spetta a lei, naturalmente. È lei la sovrintendente.
«Dammi una data di scadenza.»
«Il prima possibile.»
«Non è una data. Voglio che mi dici esattamente quando raggiungeremo il punto di non ritorno.»
Il pannello delle comunicazioni emette un leggero trillo. Effeliah fa per rispondere ma Dexit è più rapido.
«Sì? Lo so, ci penso io. Ho detto che ci penso io.» Termina il collegamento bruscamente, quindi torna a rivolgersi a Effeliah. «Dammi un paio d’ore per raccogliere tutti i dati. Mi faccio assistere da Horeg e ti faccio avere i risultati prima della dodicesima ora. Pensi di poter resistere?» Dexit sorride, ma il volto teso rivela un certo nervosismo.
«Sì. Che succede?»
«Un leggero contrattempo, niente che non possa gestire. Effeliah… Ef… Riposati. Ti prometto che andrà tutto per il meglio. Ricordati solo che non sono tuo nemico. Nessuno di noi può permettersi di avere nemici.» Tenta un ultimo, tirato sorriso, poi esce a passo svelto dalla stanza.
Ha davvero tanta voglia di riposare. Con un comando i cilindri vengono riposti in modo automatico nelle rispettive bacheche. Qualora ce ne fosse bisogno le basterà consultare la cronologia delle consultazioni per ritrovare tutti i documenti e riprendere la ricerca. Come se non conoscesse quelle informazioni quasi a memoria. Andrà a riposare, ma prima vuole togliersi quella fastidiosa sensazione di dosso. Perché Dexit ha risposto in modalità privata? Consulta un’altra cronologia, quella delle comunicazioni ricevute. La chiamata proveniva dal terminale di controllo dei confinamenti. Da lì è possibile isolare tra loro le colonie, in caso di pericolo. Effeliah non ha bisogno di ricontattare il sottoposto per capire che sta succedendo qualcosa alle sue spalle.
3.
Horeg aveva dato inizio alle procedure di richiamo un’ora prima, secondo gli ordini di Dexit. Poi, adducendo una scusa, era riuscito a farsi dare un passaggio verso il quadrante Nu-Ga. Privilegi di un luogotenente del Rettore Massimo. Prendere un vettore per En-Eslam senza farsi notare era stato più difficile, ma non era il suo primo viaggio e chi avrebbe potuto dargli noia era ormai abituato a queste sue solitarie incursioni. Nessuno avrebbe saputo cosa stava facendo stavolta. Mancano pochi minuti all’atterraggio nella zona sicura, deve fare in fretta. Ogni volta la pratica è devastante per il suo fisico, non sarebbe consigliabile prendere di nuovo il preparato dopo un intervallo così ristretto dall’ultima dose, ma è necessario. L’iniezione brucia, suda copiosamente, gli spasmi lo costringono a sedersi.
Quando il siero ha concluso la sua azione l’aspetto esteriore di Horeg è mutato. La pelle è meno bluastra, e una peluria vestigiale gli ricopre braccia e testa. Il prurito passerà a breve. C’è giusto il tempo di vestirsi con i grezzi abiti di tessuto e dipingersi il volto coi segni della tradizione Allu, prima di tornare a manovrare manualmente il vettore.
L’atterraggio è rapido, il cammino verso il centro abitato molto meno, ma la gravità di quel pianeta è ridicola per la sua capacità muscolare e la corsa non lo affatica.
Quando giunge a casa di Ferdide, inaspettato, gli occupanti sembrano indispettiti: fervono i preparativi per il Shumad, e tutti sono agitati. Lei lo abbraccia amorevole, e lo guida fuori, nel giardino, dove possono parlare indisturbati.
«Perdonaci, sai che non è nostra abitudine trattare i reverendi ospiti a quel modo. Ma tu avresti dovuto avvisarmi.» Lo bacia con passione e Horeg ricambia con altrettanto trasporto. «È davvero incredibile. Di solito ci raduniamo non prima delle messi araldine, ma all’improvviso i chuant hanno cominciato a cantare dalle torri e tutti siamo tornati a casa.»
«E la cosa non ti è sembrata… strana?»
«Sì e no. È difficile da spiegare. Non ci avevo nemmeno fatto caso finché non ti ho visto arrivare. Ho pensato che non è il solito periodo in cui ci incontriamo ed è come scattato qualcosa. Sei preoccupato, che succede?»
Horeg deglutisce. «C’è molto di cui parlare, ma non ho il tempo di spiegarti tutto. Tu sai che io non sono esattamente come voi.»
Ferdide annuisce. «La stirpe antica.»
«Siamo molto più di questo. Ora però devi ascoltarmi con molta attenzione. Noi siete tornati per il canto dei chuant, lo avete fatto per un preciso ordine. Ci sono artefatti, nascosti tutto intorno a voi. Con quelli ci è possibile manipolare alcuni dei vostri comportamenti. Quello che tu percepisci come un istinto è un’alterazione delle vostre onde neurali.»
«Io non capisco, ciò di cui parli… Horeg, è blasfemia?»
«No, è molto peggio. È una trappola. Siete stati attirati per restare a portata di diffusori sparsi in tutta la città. Emaneranno un gas letale e nel giro di poche ore l’aria diventerà irrespirabile. Moriranno tutti.»
Ferdide cominciò a tremare. «Come sai queste cose?»
«Perché ho contribuito a organizzare tutto questo.»
Ferdide, stordita, si allontana da lui, ma Horeg le prende per un braccio. «No, ascolta, ascoltami ti dico! Ero convinto che questo posto fosse sicuro ma non potevo rifiutarmi. Adesso le cose sono cambiate, non posso impedire la purga. Ma posso salvare te. Ti prego, vieni via. Non posso lasciarvi.»
«Dobbiamo chiamare mia madre. E mio padre. La mia famiglia, almeno.»
«No. Solo tu. Tu sei sicuramente sana, ma non posso garantire per gli altri. E nessuno della stirpe antica deve sapere di questa fuga. Mi dispiace, tesoro.»
Una luce di consapevolezza si accende negli occhi della ragazza. Aveva sentito storie, portate dai mercanti, di intere città decimate. Di una malattia inarrestabile che anno dopo anno mieteva vittime.
«Tu parli della febbre nera.»
«Qui la chiamate in questo modo, ma si è diffusa in innumerevoli popolazioni. In decine di mondi. Non riusciamo ad arrestarla.»
«Non capisco. Se stiamo morendo, perché ci volete uccidere?»
«Perché c’è una sola colonia ancora parzialmente recuperabile, e non è questa. Non riusciamo a bloccare la diffusione, non abbiamo ancora individuato tutti i vettori…» controlla un monitor portatile sotto gli occhi stupefatti di Ferdide «Dannazione, no! Troppo presto! Qualcuno ha accelerato i tempi.»
La guida veloce per le strade, salgono in groppa a un mulak e sfrecciano per la pianura, fino al nascondiglio del vettore. Ferdide, nel pieno di una crisi isterica, piange per il dolore di aver abbandonato la sua famiglia, è terrorizzata dall’artefatto alieno e non vuole avvicinarvisi. Horeg è costretto a usare un dispositivo a ultrasuoni, che la fa svenire. La carica e la assicura al sedile, poi avvia i motori e prende il volo. Sta quasi per uscire dall’atmosfera quando la sua rotta viene deviata da un raggio traente.
4.
Il tragitto fino alle celle di contenzione è deserto, le porte sigillate e le luci di allarme brillano irrequiete. Vengono introdotti in una cella senza mobilio. I due prigionieri al centro, le guardie armate agli angoli della porta e Dexit in mezzo a loro. Circondati dalle tute isolanti, un sottile strato di microfilm trasparente che galleggia attorno a loro, sembrano chiusi dentro una bolla. I prigionieri vengono scannerizzati, poi viene loro consegnata una coppia di tute. Horeg sistema quello della compagna, le ripete più volte di non agitarsi e che andrà tutto bene, anche se non ci crede. Horeg si volta verso Dexit. Fa un cenno di ringraziamento ma il Rettore Massimo sembra non vederlo. Sembra perso nei propri pensieri.
«Ti facevo più intelligente. Rischiare di compromettere l’intero programma… per una femmina.»
«Non capisci.»
Dexit inspira a fondo. «Forse sono solo stato più fortunato. Quando è successo a me ero solo uno dei praticanti: non avevo il potere di fare danni seri al programma. L’ho frequentata per diverso tempo, nessuno lo scoprì mai. Quelli del comitato si resero conto che le nostre razze erano incompatibili e non producevano risultati. “Un inutile spreco di risorse”, lo chiamarono. Li lasciammo al loro destino e partimmo. Le avevo fatto mille promesse ma alla fine scelsi di servire il programma. Quando, anni dopo, tornai sul loro pianeta erano tutti estinti. Esaminammo i resti e, con ogni probabilità, non furono in grado di debellare malattie e malformazioni. Erano troppo dipendenti da noi, e non ce n’eravamo accorti.»
«È incinta» dice Horeg nella lingua di Ferdide.
Lei, che fino a quel momento aveva seguito la conversazione a capo chino, si volta di scatto verso Horeg.
Il volto di Dexit si indurisce: «Allora la detenzione non è sufficiente. Mi spiace Horeg, non possiamo rischiare anche un salto di specie del morbo.»
«Il progetto è al sicuro, ho lavorato ossessivamente per non comprometterlo. Lasciami rischiare con lei. Abbandonaci su uno di quei pianeti morenti e fai come hai fatto l’ultima volta. Vivremo e moriremo insieme.»
«Sei un maledetto egoista.»
«No, sono solo stanco di assistere alla nostra lenta discesa verso l’entropia. Abbiamo ottenuto l’immortalità naturale, ma a che prezzo?»
Dexit sta per rispondere a tono, ma la porta alle sue spalle si apre. È Effeliah.
«Arrestatelo.»
Le guardie puntano le armi su Dexit. Il Rettore Massimo guarda la Sovrintendente.
«Abbiamo perso qualche città, purtroppo, e pagherai per questo. Tuttavia siamo intervenuti appena in tempo. A quanto pare non tutti condividono il tuo… zelo. Sei stato un brillante scienziato, il nostro popolo ti ringrazia per quanto hai fatto finora, ma troveremo qualcuno per rimpiazzarti. Forse persino migliore.»
Dexit sospira. Un peso invisibile sembra gravargli improvvisamente sulle spalle.
«Siete degli ingenui. Tutti e due. Avete gettato le basi della nostra rovina. La speranza che coltivate è un veleno, non ve ne siete ancora resi conto. Ma lo farete, prima o poi.»
5.
Hanno viaggiato sullo stesso strano mezzo con cui avevano lasciato la sua città. Sono scesi in un luogo che Ferdide non riconosce. Le piante sono della forma sbagliata, il terreno è polveroso, il cielo è di un altro colore. Horeg sta parlando con l’essere antico; è un capo molto importante, questo le è chiaro. Solo ora si rende conto che Horeg è uno di loro. Non capisce come sia possibile. Molte volte ha chiesto a Horeg che ne è stato della sua famiglia, ma lui continua a non darle una risposta chiara. Smette di chiedere, ha capito che lui non vuole mentirle ancora. Il capo gli consegna dei piccoli contenitori trasparenti. Ferdide non ha mai visto niente di simile. La guardano, poi Horeg si punge con un ago e mette il liquido delle boccette nelle sue vene. Lo vede soffrire, non può fare nulla per lui. Horeg la rassicura, ma lei continua a chiedersi se non sia malato. Si chiede anche se lo stesso male passerà al figlio. Parlano ancora qualche minuto, il capo sembra molto arrabbiato con Horeg. Alla fine rientrano nei loro mezzi. È ancora stupita di come si siano sollevati per aria senza sforzo. Fatica a credere di aver volato allo stesso modo.
Horeg le racconta di Dexit, di cos’hanno fatto insieme, di quello che accadrà. Dice che sarà giudicato dalla sua gente. Crede che sarà condannato a morte. Quindi anche gli dei possono morire. Per qualche ragione questo pensiero la conforta.
Mi sembra ben costruito e più volte mi sono trovata a dare ragione prima a un personaggio e poi a un altro. Il compito era tosto, ma sei riuscito a portarlo a compimento in maniera davvero esemplare, secondo me. Complimenti!
P.S.: Ovviamente una parte di me è curiosa di sapere che sviluppi prenderà la storia. Magari potrebbe compromettere l’equilibrio richiesto dal gioco, ma la curiosità mi è rimasta.
Target raggiunto facile. lo stratagemma del genocidio obbligato, devo ammetterlo, è una opzione facile. Ma comunque ben gestito, pende impercettibilmente verso i protagonisti disertori ma non era un gioco facile. Un buon tentativo. Sui modi, devo dire, non vedevo l’ora di rileggerti.
Grassieeee