Un racconto di Eliseo Palumbo
Il plotone della P.C.A.1 stanziava davanti la Torre Z, così chiamata dall’iniziale del medico e scienziato che l’aveva fatta costruire per portare avanti i suoi studi sulla genetica e rigenerazione umana, nonché sulla creazione di ibridi come gli uomini-grifo. Quel medico era, per l’appunto, Fredrick Zorberg.
L’alto pinnacolo, che fungeva da antenna radio, da qualche ora era avvolto da una strana foschia.
Il sergente del plotone osservava quello strano evento. Sembrava il solo a essersene accorto. Gli uomini delle tre squadre che costituivano il suo plotone erano concentrati sull’orizzonte, sicuri che anche quel pattugliamento sarebbe andato liscio come tutti gli altri da più di vent’anni a quella parte. Il sergente si guardò intorno e si allontanò di qualche passo. Non voleva creare inutili allarmismi. Tuttavia, con l’indice della mano destra toccò l’auricolare e attese che qualcuno dall’altro capo rispondesse.
«Sergente, siamo in ascolto. Proceda pure.»
«Chiedo il permesso di inviare un drone a monitorare l’antenna radio, Signor tenente.»
«Cosa succede, sergente?»
«Non lo so ancora, Signore. Ma c’è qualcosa che non mi convince. Voi non rilevate nulla di anomalo?»
«Negativo, Sergente. Soltanto deboli interferenze. Nulla di preoccupante.»
«Con tutto il dovuto rispetto, Signore, credo che vada fatto un controllo. Da terra ho individuato un’anomalia, una foschia mai vista prima vicino l’antenna. Sembra che ruoti attorno al pinnacolo.»
«Permesso negato, sergente. Stia tranquillo. Chiudo.»
Il sottufficiale non era per nulla d’accordo con la decisione del tenente, ma, se voleva tenersi stretto un posto di lavoro tranquillo come quello, doveva eseguire gli ordini e dimenticare le sue supposizioni. Tornò dagli uomini delle tre squadre scambiando qualche battuta con ognuno di loro. Poi rialzò lo sguardo e, con sua grande sorpresa, quella anomalia, come l’aveva definita lui poco prima, era scomparsa. Tirò un sospiro di sollievo, slacciò l’elmetto e lo tolse. Cominciò a grattarsi il cuoio capelluto quando sentì qualcosa trapassargli la nuca. Sbarrò gli occhi, così come i dieci uomini della squadra A che erano davanti a lui.
Quella che sembrava una mano diafana, stretta in un pugno, oltrepassava il cranio del sergente; entrava dalla nuca e usciva tra naso e bocca. La squadra A puntò le armi contro il sergente, che fu in grado solo di alzare le mani e scuoterle in segno di diniego prima di ruotare gli occhi e perdere i sensi accasciandosi al suolo. Alle sue spalle una figura trasparente sorrideva beffarda.
«Squadra A a torre Z, siamo sotto attacco. Ripeto, siamo sotto attacco!»
«Squadra B e C, convogliare immediatamente sul luogo!» Il tenente, dalla torre di controllo, fece cenno di visualizzare sui monitor la posizione della squadra sotto attacco. Le immagini erano disturbate da un’interferenza, la visibilità era nulla, solo l’audio raggiungeva la sala di controllo.
«Squadra B sul posto, Signore.»
«Squadra C in posizione, Signore. Attendiamo ordini.»
Il fantasma era circondato dal plotone. Si guardava intorno. Fece un passo avanti superando il corpo inerme del sergente. Un soldato della squadra A aprì il fuoco. I proiettili bucarono il nemico, oltrepassandolo, senza infliggergli danno alcuno. Due uomini della squadra C furono colpiti e caddero a terra, soccorsi prontamente dal resto della squadra.
«Non sparate! Chi vi ha dato l’ordine?» Il tenente urlava dalla posizione di comando.
Il plotone, incredulo, guardò il nemico oltrepassare le mura della torre Z sparendo al suo interno. I sensori di movimento evidenziarono la presenza ostile. Le sirene rosse iniziarono a lampeggiare e l’allarme risuonò all’interno della torre.
«Attenzione. Ingresso non autorizzato al primo livello. Prepararsi al combattimento.» La voce dell’intelligenza artificiale propinata dagli interfoni, così calma, era in contrasto con la gravità dell’annuncio.
Le squadre all’interno della torre si prepararono allo scontro con le loro tute antisommossa. Il tenente impartiva ordini dalla sala controllo, alla cieca, a causa dell’interferenza creata dall’intruso. La sua attenzione fu distratta dalle urla provenienti da fuori la torre.
«Altre due presenze ci stanno attaccando, Signore.»
«Aprite il fuoco!»
Si sentirono degli spari, ripetuti, poi silenzio radio.
Il tenente fissava il monitor. L’interferenza sparì restituendo una scena macabra. Tutti i soldati giacevano a terra privi di vita, sembrava un suicidio di massa.
L’intelligenza artificiale produsse altri due annunci «Attenzione. Ingresso non autorizzato al secondo livello. Prepararsi al combattimento.»
«Attenzione. Ingresso non autorizzato al terzo livello. Prepararsi al combattimento.»
«Cosa facciamo, Signore?» Il tecnico delle comunicazioni seduto davanti il tenente attendeva ordini mentre gocce di sudore freddo scivolavano lungo le tempie.
«Aspettiamo. Dammi accesso alle telecamere del primo livello.»
«Comandi! Nessuna interferenza, Signore.»
«Passiamo al secondo livello.»
«Anche qui, Signore. Funziona tutto come dovrebbe.»
«Stanno puntando al cimitero, dunque. Aprimi un canale radio con tutte le unità.»
«Fatto, Signore. Quando vuole.»
«A tutte le unità. Convergere immediatamente al terzo livello e proteggere le vasche del cimitero a qualunque costo. Ripeto, convergere al terzo livello. Nessuno deve azionare le vasche.»
Raggiunta la sala del terzo livello, chiamata il cimitero delle lumache, i soldati trovarono difronte a sé tre figuri trasparenti, dagli occhi rossi come il fuoco e sorrisi demoniaci. Stavano cercando di attivare il meccanismo d’azione. Tuttavia, erano puro spirito, quindi oltrepassavano tutto ciò che fosse fisico, non riuscendo nel loro intento.
«Le telecamere del terzo livello sono inutili a causa dell’interferenza. Tentate una scansione facciale con i vostri monocoli. E non aprite il fuoco. Probabilmente il nemico è inerme alle pallottole.»
Passarono pochi istanti e le prime immagini raggiunsero la sala di controllo. Il tenente avviò il login nel database della P.C.A. e fece inserire le immagini. Nessun risultato. Provarono per tre volte ma il riconoscimento facciale non fu d’aiuto.
«Potremmo provare con il database del governo mondiale, Signore.»
«Non sono molto fiducioso. Ma tentiamo.» Un secondo login e una prima ricerca; anche quest’ultima negativa. Il tenente colpì con gran forza la console. «Da dove sono sbucati fuori questi mostri. Per tutti gli dèi morti!»
«Ho avuto un’idea, Signore. Possiamo provare ad andare a ritroso, a prima ancora della digitalizzazione.»
«Potrebbe essere un’idea. Procedi.»
Il tecnico delle comunicazioni inserì le immagini nella barra di ricerca degli attestati dei ricercati prima della digitalizzazione, dei cento anni di buio e della guerra dei quattro maghi. Minuti interminabili.
Le tre figure, intanto, al terzo livello, iniziarono a volteggiare nell’aria, in cerchio, sulle teste dei militari che cercavano di ripararsi. Erano addestrati a tutto, tranne che a un attacco spettrale come quello. I nervi iniziavano a cedere. Troppi indici carezzavano i grilletti.
I tre fantasmi ridevano silenziosi. Spalancavano la bocca ma non emettevano nessun suono. Erano divertiti.
«Ci siamo, Signore! Abbiamo tre identificazioni attendibili però solo al 57%» sul database erano spuntate tre taglie vecchissime, di circa mezzo millennio.
«Di chi si tratta?»
«Non credo che sia possibile, Signore. Guardi lei stesso.»
«Foglia Verde, Paul Olsen e Barbarossa», lesse il tenente, «i tre Grandi Eroi? Che assurdità è mai questa? Sono tornati dal sottosuolo demoniaco? Per fare cosa? Perché adesso e perché proprio qua?»
«Altri guai in vista, Signore», il tecnico delle comunicazioni aprì un’immagine allargata dell’esterno. Fece pressione sulla leva dello zoom, aprendo il grandangolo al massimo. Davanti l’ingresso della Torre Z un uomo, avvolto da una cappa color panna, aveva appena tolto il cappuccio e alzato lo sguardo, «per riconoscerlo non abbiamo bisogno di nessun database, è Tornado Six.»
«Non ci voleva, per niente. Aprimi una comunicazione criptata con gli uffici del governo mondiale. La faccenda è più complicata del previsto.»
Tornado Six fece un respiro profondo, accigliò gli occhi e con un colpo secco colpì il portone di ingresso spalancandolo. La voce metallica e calma dell’intelligenza artificiale accompagnava la sirena d’allarme e il lampeggiare rosso.
“Lo ricordavo diverso questo posto.” Non si fece distrarre da quei pensieri e continuò la sua camminata. Superò un corridoio, in fondo trovò un ascensore fuori uso. Iniziò a salire le scale, guardò in alto. Non aveva molta voglia. Denudò il tronco del corpo, sferzò l’aria con due colpi d’ala e raggiunse il terzo livello della torre in volo, mentre alcune piume scendevano leggiadre verso il suolo.
L’ascesa fu rapida. Un altro respiro profondo, chiuse di nuovo gli occhi e con un calcio preciso aprì la porta. Prima di riuscire ad aprire gli occhi sentì dei passi e dei clic. Erano i militari in posizione di guardia.
Gli spiriti dei tre Grandi Eroi si dileguarono, osservando tutto a debita distanza.
«Abbassate le armi, non ho niente contro di voi. Sono qui per una faccenda personale, che non vi riguarda.»
«Non fare un altro passo. Non ti conviene, amico.»
Tornado Six non disse nulla, si limitò a sorridere e si mise in posizione d’attacco. Si piegò sulle ginocchia, portò i gomiti indietro all’altezza delle costole «Non farò nessun passo, proprio come hai detto, amico.» Il turbinio d’aria che generò con le ali fece riparare il gruppo armato dietro le loro braccia e le loro armi. Con un balzo, Tornado Six, raggiunse gli avversari colpendoli nei loro punti vitali, lasciandoli stesi a terra in fin di vita, senza che nemmeno potessero rendersi conto dell’accaduto. Tutto ciò sotto gli occhi increduli del tenente, che era ancora in attesa di una risposta da parte del quartier generale del governo mondiale.
L’uomo alato si guardò intorno, individuò le vasche. Si avvinò a una di esse, la accarezzò e per qualche secondo ricordò quando queste non esistevano, trecento anni prima, e il processo avveniva in fosse scavate nella dura roccia. Si voltò in direzione dei pannelli di comando. Scansò alcuni uomini stesi atterra, senza infierire troppo, sarebbero morti da lì a qualche minuto.
Iniziò a scorrere con una manopola l’elenco fino al processo di cui aveva bisogno. Pigiò la parte centrale della manopola, spuntarono i componenti necessari, con a fianco la percentuale necessaria e quella presente nei serbatoi. Non mancava nulla. Sul display lampeggiava la dicitura “Avvia processo”.
L’uomo infilò la mano bicolore a causa della vitiligine in una tasca interna della sua cappa. Estrasse un cuore. Era di ghiaccio, diafano. Morto all’apparenza, ma aveva delle piccole venature violacee e magenta. Qualcosa scorreva al loro interno. Pigiò il tasto interno alla manopola. I coperchi delle vasche scivolarono sulle loro guide permettendo l’ingresso.
Tornado Six prese posto in quella più prossima e si mise comodo, poggiando il cuore sulla cicatrice sternale. Non si accorse minimamente della presenza dei tre spiriti, che si fiondarono nelle altre vasche. Il coperchio si richiuse.
I bocchettoni interni iniziarono a sfiatare e ronzare. La vasca venne pressurizzata. Era una sensazione, che Tornado Six non aveva mai provato, al quanto fastidiosa constatò. Meccanismi ruotavano nascosti da una lastra d’acciaio dietro la testa dell’uomo. Un piccolo rumore simile a uno scoppio. Six tentò di guardarsi intorno, senza nessun esito. Il vetro del coperchio si oscurò. Un liquido viscoso iniziò a invadere la vasca. La bava delle lumache non lo aveva mai lasciato indifferente, nemmeno quella volta in cui fu semplice spettatore della metamorfosi di Roger. Tantomeno quando gli fu estratto il cuore e adesso con il processo inverso.
Chiuse gli occhi, respirò profondo e lasciò che il processo facesse il suo effetto, restituendogli la mortalità. Era l’unico modo per continuare a vivere, paradosso dei paradossi, dopo la maledizione ricevuta dal bottolaio Jeremia Deepbottom Steampton.
Il processo non durò molto. Le sensazioni e i suoni iniziarono a scorrere al contrario fino alla riapertura del coperchio. Il tenente della P.C.A., insieme al tecnico delle comunicazioni e l’ultima squadra rimasta ancora in vita, attendeva all’ingresso della sala la fuoriuscita del nemico pubblico numero uno.
Tornado Six tardò a uscire dalla sua vasca. Con grande sorpresa dei presenti, invece, chi uscì immediatamente fu uno dei Grandi Eroi. Fulgidi capelli fulvi lunghi fin oltre le spalle, viso glabro macchiato da due cicatrici sulle guance, occhi grigi, sopracciglia talmente folte da sembrare uno solo; muscoli ben definiti e delineati, nerboruto e completamente nudo. Barbarossa si guardava estasiato e incredulo. Buttò un occhio nelle altre vasche. Il secondo eroe si mise seduto. Aveva capelli arruffati ebano, occhi neri come la notte, lunghe basette fin oltre la mandibola, un sorriso spietato. Quando si mise in piedi mostrò un corpo non atletico, con l’addome rigonfio, spalle cadenti ed estremamente villoso, gambe secche e arcuate: Foglia Verde. L’ultimo aveva i capelli sottili e bianchi, taglio militare, occhi colore del ghiaccio, la muscolatura non era scolpita ma si intuiva la sua estrema forza fisica. Il possente Paul Olsen.
I tre si guardarono soddisfatti. Ignorando il tenente e i suoi uomini raggiunsero la vasca di Tornado Six che stava ancora testando con entrambe le mani se l’operazione avesse avuto successo. Al tatto la cicatrice era diventata più grande, non c’era più il cuore di ghiaccio sul suo corpo. Con indice e anulare della mano destra cercava il battito sul collo, mentre con il palmo della sinistra provava a percepirlo sul petto. Tutto sembrava funzionare alla perfezione, era filato tutto liscio. Fino a quel momento.
Sei mani lo afferrarono tirandolo fuori dalla vasca. Tornado Six provò a divincolarsi, senza nessun esito. Paul Olsen lo immobilizzava da dietro, mentre Barbarossa gli teneva stretti i polsi.
«Quanto vale, per voi, quest’uomo?» Foglia Verde si rivolse al tenente della P.C.A.
«È l’uomo più pericoloso del mondo al momento, ricercato in tutti e cinque i continenti, in tutti e tre i mari, forse anche sull’anonimo Arcipelago Sospeso.»
Paul Olsen diede un morso sul collo di Six, che emise un urlo disumano. Barbarossa gli passò il palmo della mano davanti gli occhi e toccò il punto del morso. Tornado Six perse i sensi.
«Fatene ciò che ne volete a patto che non ci ostacolerete. Se il governatore mondiale Olsen avesse delle rimostranze, ditegli che il suo antenato è tornato e sa dove trovarlo» Paul Olsen lanciò il corpo di Six tra le braccia del tenente. I tre Grandi Eroi oltrepassarono gli uomini della P.C.A. lasciandosi alle spalle il cimitero delle lumache e la Torre Z.
1 – P.C.A. acronimo per Protezione Civile Armata; contractors affiliati al governo mondiale.
Si. mi è piaciuto. A dispetto dello scontato, la parte meglio riuscita tecnicamente è la sospensione iniziale. tecnicamente davvero ben montata, pause e gestualità precise e curate. Semplice e perfetta. non ho voglia di commentare tutto il racconto, perché l’ingresso è un ottimo riferimento in questo gioco.
bravo.
Oh, Eliseo, a me il tuo gioco non è dispiaciuto affatto. La parte migliore è, senza alcun dubbio, quella delle vasche.
L’unico appunto riguarda il PDV (punto di vista)che mi è parso un po’ ballerino. Sistemato quello, il racconto migliorerebbe ulteriormente.
Mi è rimasta soprattutto la curiosità su Tornado Six. Mi piacerebbe avere una panoramica maggiore della storia, perché intuisco che ci sia ancora tanto da raccontare.
Ho apprezzato in particolar modo la scena dell’uccisione del sergente e dei soldati all’interno della torre. Mi è piaciuta molto anche la parte delle vasche. Ho notato qualche piccola sbavatura nella forma.
Lascia la curiosità, mi sembra una buona prova!
Anche qui abbiamo giusto una minima parte della storia, e quindi si resta in attesa di qualcosa che non arriva, ma quello che c’è è abbastanza intrigante. Anche se quel Six fa un sacco di cagnara poi viene liquidato piuttosto male, ma forse nel seguito avrebbe ben altro spazio come villain. Bel gioco!