Un racconto di Ed Durante
Ho sempre apprezzato il bacio della brezza estiva e il passionale
abbraccio del sole nelle ore più calde, quel miscuglio di irradiazione
che ti fa sudare ed il vento ad asciugarti. Per buona pace dei miei
nervi mi sono lasciato la rumorosa e caotica città alle spalle,
l’ombra del lavoro viene spazzata via da lunghe giornate in riva al
mare ad alternare la sensazione di vivo tepore ai piedi nella sabbia
cocente a quello della freschezza di immergerli nelle onde del
bagnasciuga. Erano passati ormai tre giorni dall’inizio del meritato
riposo, la mente leggera, spogliata da tutte quelle schizofrenie della
vita contemporanea; quasi non mi erano pesate nemmeno le ore di
traghetto a raggiungere Ile-Rousse.
Prima di andare al mare mi affaccio dal terrazzino della casa
affittata per due settimane, la vista è stupenda, non una nuvola in
cielo e il sole inonda di calore questa giornata di metà luglio. I piani
sono chiari, girare il più possibile e godersi quante più spiagge
isolate, presa la bicicletta lasciata gentilmente a usufrutto degli
ospiti, mi dirigo ad est.
Passando tra la boscaglia costiera ed i paesi dell’isola francese,
dopo un paio d’ore di pedalata noto un cartello sul bordo della
strada ad indicare un sentiero; sarebbe stato difficile notarlo
inchiodato ad un albero com’è, se non fosse per quella vernice
rossa dove qua e là si scrosta e qua e là rimane curiosamente
impressa. Lego la bici vicino al cartello, sicuramente ci sarà una
spiaggia unica alla fine di questa stradina.
La strada si presenta poco battuta, con sassi e buche, ma riparata
dal sole di mezzogiorno, timidi raggi penetrano la pineta da cui
sono avvolto. Non c’è dubbio, in fondo a questa strada non può che
esserci una spiaggia isolata e quasi sicuramente sconosciuta,
decido di seguirla.
Mentre proseguo lungo il sentiero una strana sensazione mi assale,
e la mente, da che s’era fatta leggera nell’ottica vacanziera, si
appesantisce e penso a quanto curioso sia l’assoluto silenzio da cui
sono circondato, non un cinguettio, non una foglia muoversi, niente.
Un battito del cuore vibra, turbato dalla situazione, tutto si fa
ovattato, mi concedo un momento per prendere fiato, il petto si fa
pesante. Mi appoggio ad un albero, colto da quella strana
sensazione e malessere, che ci sia stato un dislivello di cui non mi
sono nemmeno reso conto? La mia attenzione torna alla completa
mancanza di rumore, solo i miei passi a scandire la mia presenza.
Beh, per lo meno ci sarà un posto tranquillo alla fine di questo
percorso dove potrò riposarmi da questa incursione, penso fra me e
me. Riprendo a camminare dove la strada si fa ripida e scoscesa,
qualcosa inizia a venire all’attenzione del mio udito: il rumore delle
onde leggere infrangersi sulla sabbia. Non posso più sopportare la
soffocante presenza percepita nella boscaglia e, con grandi falcate,
raggiungo finalmente la spiaggia.
Decisamente un posto silenzioso, se non fosse per il rumore bianco
del mare. Guardo l’orologio, l’una passata, è ora di mettere
qualcosa sotto i denti e, steso l’asciugamano, tiro fuori un panino,
preparato la sera prima, dallo zaino. Dopo essermi rifocillato, mi
addormento, quasi catatonico, sotto il sole. Vengo svegliato dal
calore insopportabile della sabbia intorno a me e sono colto
dall’irrefrenabile desiderio di fare due bracciate in acqua. Tra il
cristallino dei piccoli flutti mi immergo, la testa viene colpita dalla
fresca sensazione rigenerante dello sbalzo termico, quando
riemergo riattivo i miei muscoli facendo un centinaio di metri verso il
largo. Mi fermo ad osservare l’orizzonte dal pelo dell’acqua e noto
la completa mancanza di imbarcazioni a largo e fin dove l’occhio
può scrutare, torna la sensazione di essere in una campana
sottovuoto, questa volta peggio. Lo sforzo della nuotata ha provato
ancora di più il mio corpo che, colto dal tuffo al cuore viene avvolto
in un mare di tenebra, provo paura; l’istinto di autoconservazione mi
spinge a reagire e nuoto velocemente e scoordinato verso la riva, il
fiato si fa corto e sempre più pesante, la riva sembra sempre più
lontana. La tenebra mi raggiunge vado a fondo, trattengo il respiro
ma la sforzo me l’ha rotto e riempio i miei polmoni d’acqua.
Mi sveglio di soprassalto, era un sogno? Sono ancora sul telo,
ansimante e spaventato, sudato e tremante, un po’ per il caldo, un
po’ per lo spavento. Mi alzo a fatica, le gambe non mi reggono,
lentamente mi riavvicino al mare per sciacquarmi la testa ed il
corpo, avrò forse preso un colpo di sole? O magari di calore?
Decido di stare a mollo per un po’, nuotare non sembra la migliore
delle idee in questo momento. Mi prendo un momento per riflettere,
c’è qualcosa di strano in questo posto, non sono per nulla a mio
agio. Ripreso fiato mi alzo, mi guardo intorno e oltre alla sabbia
bianca e la pineta subito dietro non c’è nulla, non un’anima. Non è
possibile che questo posto sia così dimenticato, inizia ad instillarsi
in me il dubbio che forse voglia essere dimenticato.
Raccolte le mie cose, inizio a camminare lungo la costa in cerca di
qualcuno, dev’esserci, non ci credo di essere completamente solo.
La sabbia rovente s’insinua nei sandali ed il calore battente mi
costringe a prendermi delle pause per bagnarmi la testa, ma sto
camminando da troppo tempo ed il paesaggio intorno a me sembra
non cambiare. Comincio a correre, la densità della sabbia mi
intralcia e mi rende goffo e appesantito, sento di nuovo il cuore
sprofondare, i battiti non sembrano solo accelerare ma si fanno
anche più intensi TUMPH TUMPH TUMPH. La testa mi
sembra scoppiare ad ogni pulsazione, vorrei gridare e piangere ma
non ci riesco, non un singolo sprazzo di voce mi riesce, ho di nuovo
paura. Le gambe mi si bloccano, non posso fare un singolo passo,
sono paralizzato, la sensazione di entrare a far parte di quel
costante silenzio da cui non mi sono mai liberato mi assale. Vorrei
gridare, esprimere la mia paura, sono completamente inerme, alla
mercè delle mie stesse sensazioni, mi sembra di impazzire. Con un
grande respiro e raccogliendo tutte le mie forze riesco a lanciare un
forte urlo. Mi risveglio con la faccia immersa nella sabbia,
completamente sudato con lo zaino in spalle. Voglio andarmene da
qui, quando sono svenuto? Non c’è tempo per dare risposta alle
miriadi di domande che avrei potuto farmi, devo assolutamente
andarmene da questo posto infernale. Cerco disperatamente il
sentiero da cui sono arrivato il più in fretta possibile, niente, non
riesco a trovarlo; comincio a correre in mezzo alla boscaglia colto
dal desiderio di fuga.
Ansimante spingo i muscoli delle mie gambe ad uno sforzo
estremo, cerco di ignorare l’ovattarsi dei timpani, sempre quella
dannata sensazione; non sento nemmeno i piedi colpire il terreno e
la vegetazione, solo il mio respiro, il mio cuore pulsare, ancora una
volta, con crescente intensità. Provo paura per l’ennesima volta, mi
si strozza in gola qualsiasi sentimento, mi sento morire e forse lo
desidero, finire questo tormento e riposarmi finalmente, in eterno.
Quand’ecco un cinguettio spezza il silenzio, vedo la strada in
lontananza, continuo a correre sempre più forte, le gambe bruciano
ma ho troppa paura per fermarmi e cedere alla stanchezza;
raggiungo la strada e noto, poco più in là, appoggiata all’albero cui
era stata legata, la bicicletta. Mi accascio a terra, stremato, senza
forze e scoppio a piangere sul ciglio della strada; percepisco le mie
emozioni riprendere a scorrere in me e comincio a ridere mentre le
lacrime mi bagnano il volto. Una parte di me rimarrà per sempre in
quella spiaggia e qualcosa di terribile e malvagio di quel luogo ora
risiede nel mio cuore, la quiete è per me un inferno, ancora sdraiato
in terra tra riso e lacrime comincio a gridare, a dibattermi, quasi
indemoniato. Questo non sono io? Cosa mi è successo? Con lo
sguardo rivolto al sole mi arresto, non urlo, non mi muovo, sono
calmo, troppo calmo; un’ultima lacrima mi bagna il viso ed esalo
l’ultimo respiro mentre quella radiosa giornata d’estate svanisce e si
fa buia quando il mio cuore si ferma e non batte più. Cercavo la
pace e l’ho trovata, vivere è il lavoro più faticoso ed io, sotto il sole
di luglio, non vivo più.
Per l’impaginazione stretta e senza stacchi, credo dipenda dal PDF, scusa ho dimenticato che con questo formato il foglio web non viene bene. In quanto alla storia, è davvero interessante che la paura sia portata avanti in un luogo di relax, come la spiaggia. L’assenza di rumori e di esseri viventi fa il resto, come se l’angoscia e “il male” siano insieme una cosa che proviene da fuori e da dentro il personaggio. Sicuramente avrei calcato più la mano sulla sensazione. Ci sono troppe parti in cui “sviene” e non ricorda, invece portandolo avanti conscio della follia che goccia a goccia si insinua nella sua mente avrebbe reso il racconto molto più horror. Inserire qualche dettaglio inquietante al di fuori del personaggio, nella spiaggia, nell’acqua, anche. Nel complesso è una buona prova! Benvenuto a bordo!
L’idea del loop è funzionale, ma non ha respiro, non ha un climax. Mi è sembrato di ingoiare un boccone troppo grosso. Funzionerebbe meglio se a ogni giro di sogno nuovo l’aria si facesse più fresca, per peggiorare sempre di più al giro successivo fino a trasformarlo in un vortice. Invece c’è poca aria da prendere a intervalli.
Scegliere la prima persona, in tempo reale poi, al presente, non è semplice. Comporta un impegno e una cura molto alta: Il protagonista vive, non descrive, l’ambiente. quindi tutto va reso in relazione agli impulsi sensoriali del protagonista. Pensateci: quando vivete un’esperienza, vi preoccupate di descriverla o semplicemente la vivete?
La prima persona, al presente è “vivere” quel momento, il protagonista non ha neanche la minima percezione del lettore. Quindi non racconta. Per rendere più plausibili le descrizioni e quindi conferire il compito al protagonista di “raccontare” al lettore, per me occorre spostare tutto al passato.
Dal pc l’impaginazione risulta migliore che dal cellulare, per cui consiglio di leggere non da mobile.
Per quanto riguarda il racconto, l’idea mi è piaciuta. Per il tipo di narrazione che hai usato, che tende a dire più che a mostrare, ti suggerirei di valutare di spostare il discorso al passato: le riflessioni potrebbero starci di più e anche una narrazione che non mostra in effetti ciò che è accaduto ma lo racconta.
Devo dire a mia discolpa che non ho tenuto conto di come si sarebbe sviluppato il formato del sito. La prossima volta, ad ogni punto e a capo, batterò col doppio spazio.
Se ti viene voglia di sistemarlo io lo rileggo volentieri!
Un peccato che la formattazione renda la lettura un po’ ostica. È un problema strettamente tecnico, magari però tienine conto per il futuro.
Lavorerei sulla punteggiatura, periodi leggermente più brevi darebbero più respiro.
Non è scritto male, purtroppo lo trovo un po’ tiepido, per i miei gusti. La costruzione dell’ansia avrebbe forse bisogno di più tempo, di qualche elemento in più a supporto.
Ho fatto fatica a leggerlo, perché non trovo pause nel modo di scrivere. Mi sembra un monoblocco, il che potrebbe funzionare, forse, se fosse scritto in modo più scattante.
Condivido l’impressione del finale poco da narrazione in prima persona.
L’idea mi piace e anche l’ambientazione, ma la realizzazione non mi convince.
Apprezzo l’idea di fondo, anche perché è forse quella più realistica e sensata fra i racconti in gara – la vacanza, un malore, la paura…
Ma forse un po’ la punteggiatura, forse un po’ la scelta di esporre in prima persona presente qualcosa che poi termina in un modo “poco da narrazione in prima”… forse il fatto che sia molto narrato. Ma non mi trasmette quell’ansia che invece potrebbe trasmettere.